Territorio

Opere funerarie

Tra gli anni Trenta e la fine degli anni Sessanta Giuseppe Mozzanica realizzò, su commissioni private, numerosi monumenti funebri.

Il gruppo più cospicuo è costituito dalle cinquantasei opere presenti nel Cimitero Monumentale di Lecco.

Nel 2011 il Cimitero Monumentale di Lecco è stato inserito nella Route of European Cemeteries, un’iniziativa di portata europea che, a partire dal 2009, riunisce in un itinerario culturale alcuni siti cimiteriali di cui è stato riconosciuto il notevole valore artistico, storico e architettonico.

Se ci incamminiamo tra i viali possiamo rintracciare in più casi l’impronta di artisti che esprimono l’alternarsi di stili e forme di volta in volta differenti e sintomatici dell’avvicendarsi del tempo e delle temperie culturali di cui lo spazio cimiteriale è anche memoria storica. È questo infatti il tratto maggiormente caratterizzante il cimitero, è il suo genius loci, e va considerato come elemento di grande valore e testimonianza storica; esso si offre come il luogo della memoria, una memoria di carattere privato cui si intreccia una memoria collettiva che a sua volta si innesta su un quadro di memoria storica della città.

Le opere funerarie lasciate da Mozzanica sparse sul territorio di Lecco, Como, Bergamo e Milano sono numerose.

Al cimitero Monumentale di Milano sono presenti tre opere scultoree: la tomba Calcagni (1936), il gruppo scultoreo Ricci Guscetti (1936 ca.) e la tomba Lainati (1932), andata distrutta. In particolare il gruppo Ricci Guscenti è espressione della purezza formale e dell’eleganza espressiva dello scultore lombardo.

Il linguaggio espressivo di Mozzanica è contrassegnato da proporzione e corrispondenza fedele al vero che gli permette di equilibrare la bipolarità tensiva tra la retorica e il crudo verismo. Vi è la capacità di mantenere un ricordo vivido della vita, di cui i suoi lavori ne sono traccia, senza ridursi a mera commemorazione.

Il filone delle sculture funerarie si contraddistingue per la ritrattistica dalla forte impronta realista. Addirittura nel caso della tomba Mazzoleni (1932) la fedeltà al modello dal vero è supportata dal fatto che l’artista compì il ritratto del soggetto ben dieci anni prima della sua morte. È un caso isolato, così come quello del marmo della tomba Sacchi del 1958: qui l’artista ha creato una maschera funeraria, lavorando a partire da un calco ottenuto direttamente dal viso della defunta.

Laddove questo rapporto diretto col soggetto dell’opera non era possibile, il lavoro dell’artista tendeva costantemente comunque ad uno spessore di realismo.

La bipolarità tensiva di Mozzanica tra vero e ideale è un connubio ben riuscito che permette all’artista da un lato di non scadere in un classicismo tradizionale retorico e dall’altro di non cedere ad un verismo crudo e diretto in cui non si sarebbe riconosciuto. Ponendosi in questa direzione, il linguaggio di Mozzanica rimane sì sensibilmente legato alla tradizione, ma è in grado anche di conferirle personalità e leggerezza, come in alcuni soggetti religiosi che escono dalle mani dell’artista dotati di una profonda umanità e di un realismo vibrante che toglie ogni carattere astratto e ieratico alla raffigurazione.

Monumenti ai caduti

Giuseppe Mozzanica realizza negli anni Venti il suo primo monumento ai Caduti, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, ancora studente presso l’Accademia di Brera. Si tratta del soldato nudo del monumento ai caduti di Missagliola (1922). Una figura che incarna l’antitesi dell’immagine della vittoria. Il soggetto è ritratto seduto, su un masso, con lo sguardo assente e in una postura che trasmette stanchezza, comunicando un’idea di gloria svanita e futile. L’unico elemento che ci permette di identificare il soggetto come soldato è l’elmetto.

Mozzanica con le sue prime opere pubbliche si colloca all’interno di un’Italia in cui il fascismo sta iniziando a muovere i suoi primi passi e si appresta a prendere il potere alimentando la propaganda del mito della vittoria tradita. Non vi è traccia di questa retorica fascista nei monumenti di Mozzanica. Non si tratta di mere celebrazioni al trionfo, egli predilige infatti la celebrazione della morte dei compagni e amici persi durante la guerra. Amici che il conflitto gli ha dato l’opportunità di conoscere e la guerra stessa gli ha portati via, spezzando la loro giovane vita in nome di una vana vittoria.

Il monumento ai Caduti di Paderno d’Adda (1931) tocca il vertice del suo stile antiretorico. Nessun segno militare, nessun simbolo di vittoria, ma la rappresentazione di un ragazzo che giace morto sopra un masso con la testa reclinata e le braccia abbandonate. Il corpo, coperto in parte da un lenzuolo, come fosse un sudario, quasi a voler suggerire un’idea di sacrificio. Il tratti dolci del volto e il corpo acerbo del giovane sottolineano con grande forza il senso del dolore e della morte senza consolazione.

L’unico monumento in cui si intuisce un accenno di celebrazione alla vittoria è il monumento ai Caduti di Cernusco Lombardone (1923), in cui il soldato, stendendo il braccio verso l’alto, regge un globo su cui è posta la vittoria alata. Anche in questo caso nella celebrazione della gloria non vi è un sentimento di entusiasmo, ma un senso di malinconia trasmessa dallo sguardo del soggetto.

A differenza delle opere scultoree degli anni Venti e Trenta i monumenti ai caduti degli anni Cinquanta e Sessanta riproducono una rappresentazione più narrativa e simbolica della guerra. L’Italia (1960) monumento ai Caduti di Merate, il soldato di Verderio (1961), il monumento di Bosisio Parini (1955) e il Leone di Barzio (1955) sono espressione di virtù come l’audacia e la nobiltà.

Sul territorio sono state finora mappati tredici monumenti ai caduti e, attraverso l’operazione di accurata ricerca avviata dalla Fondazione, il numero è in costante crescita. Il lavoro di mappatura è volto a promuovere un “museo diffuso” dedicato alla memoria oltre a individuare tutti quei monumenti della Prima Guerra Mondiale che, durante il secondo conflitto mondiale, sono andati distrutti e perduti, come il caso del monumento ai Caduti di Colonno (CO) fuso per realizzare cannoni, destino comune a diversi monumenti pubblici dell’epoca.

Questa tensione verso la naturalezza la ritroviamo anche in opere realizzate in collaborazioni con altri artisti dell’epoca, come l’altorilievo posto sulla chiesa del cimitero di Uggiate-Trevano, realizzato con Terragni, in cui la Pietà è raffigurata attraverso figure che trasmettono realismo e morbidezza nei gesti e negli sguardi.